Non lavare i vestiti dopo averli indossati? Ecco quanto sopravvivono davvero i batteri sulla stoffa

Non lavare i propri vestiti dopo averli indossati, o peggio indossare capi appena acquistati senza averli mai lavati, espone i tessuti – e la nostra pelle – a un vero e proprio microcosmo di batteri, microrganismi e residui che possono sopravvivere sorprendentemente a lungo sulla stoffa. Le ricerche più aggiornate e i pareri degli esperti concordano sul fatto che i capi d’abbigliamento accumulano germi sia durante la produzione che attraverso il contatto con superfici, persone e altri indumenti: una condizione che può trasformarsi in un rischio per la salute, soprattutto per chi soffre di pelli sensibili o di allergie cutanee.

Da dove arrivano i batteri sui vestiti?

Il percorso di un capo di abbigliamento, dal produttore al consumatore, è spesso lungo e pieno di insidie. Gli indumenti sono realizzati in stabilimenti spesso situati in Paesi lontani, stoccati in magazzini e trasportati su diversi mezzi, prima di essere esposti sugli scaffali dei negozi. Ogni passaggio comporta il contatto con varie superfici e persone, permettendo l’accumulo di batteri, lieviti, residui cellulari e addirittura miceti – specialmente nelle cuciture delle ascelle e delle natiche, zone notoriamente più soggette a sudorazione e sfregamento.

Molti indumenti possono arrivare in negozio con una carica batterica superiore rispetto a oggetti che tocchiamo quotidianamente come telefoni o maniglie. Un’indagine condotta dall’Università di New York ha evidenziato la presenza, sulle stoffe di capi nuovi e apparentemente “puliti”, di vari microrganismi tra cui il temuto Norovirus che, in condizioni favorevoli, può sopravvivere sulle stoffe fino a 48 ore.

Non bisogna inoltre sottovalutare la presenza di sostanze chimiche: indumenti nuovi possono venire trattati con resine di formaldeide, nonilfenoli e altri conservanti contro muffe, umidità e pieghe, i quali restano sulle fibre fino al primo lavaggio e rappresentano un potenziale rischio per la pelle sensibile.

Quanto tempo sopravvivono i batteri sulla stoffa?

La sopravvivenza dei batteri e degli altri microrganismi sui tessuti dipende da diversi fattori: il tipo di tessuto, l’umidità ambientale, la temperatura, il grado di contaminazione e ovviamente il tipo di batterio (o virus). Alcuni microrganismi, come il già citato Norovirus – responsabile di gastroenteriti anche gravi – possono restare vitali fino a 48 ore sugli indumenti, mentre molti batteri comuni, quali lo Staphylococcus aureus (ceppo MRSA resistente agli antibiotici), possono sopravvivere anche diversi giorni, soprattutto in condizioni di umidità.

I capi intimi e l’abbigliamento sportivo, a causa del contatto diretto con la pelle e la presenza di sudore e secrezioni corporee, sono particolarmente vulnerabili allo sviluppo di colonie di batteri come la Candida, e microrganismi come la Gardnerella, favorendo fastidiose infezioni cutanee o genitali in caso di riciclo degli abiti non lavati.

Persino i tessuti meno a contatto con la pelle (giacche, pantaloni, camicie) trattengono batteri: la loro presenza tra le fibre è favorita dall’umidità residua e dalla mancanza di adeguata aerazione. Va sottolineato che, seppur la carica microbica si riduca gradualmente nel tempo, alcuni patogeni restano “attivi” per più giorni, a seconda dell’ambiente circostante e del materiale del tessuto.

Quali sono i reali rischi per la salute?

I rischi più comuni legati al mancato lavaggio dei capi sono la comparsa di irritazioni, prurito e reazioni allergiche di varia gravità. I soggetti predisposti possono sviluppare vere e proprie dermatiti allergiche o irritative da contatto, con sintomi che vanno dal semplice rossore fino a eruzioni cutanee più estese. Gli abiti sintetici, in particolare, intrappolano più facilmente umidità, favorendo non solo l’irritazione ma anche la proliferazione di germi e la formazione di cattivo odore.

Indossare capi contaminati esposti a batteri anche potenzialmente pericolosi comporta un rischio di trasmissione di infezioni, specie in presenza di microlesioni cutanee o in casi di immunodepressione. Alcuni patogeni, come il Norovirus o l’MRSA, sono noti per la loro capacità di causare infezioni gastrointestinali e cutanee aggressive. Tuttavia, per la maggior parte degli individui sani, il rischio di ammalarsi dopo aver indossato abiti non lavati resta generalmente basso, a patto che si pratichi una corretta igiene personale e si lavino con regolarità i capi a stretto contatto con la pelle.

  • Biancheria intima e calze: vanno sempre lavate dopo ogni uso, poiché entrano in diretto contatto con le regioni più sensibili e umide del corpo, inclusi genitali e piedi, aree ideali per la proliferazione microbica.
  • Abbigliamento sportivo: soggetto a sudorazione intensa, deve essere igienizzato subito dopo l’uso per evitare non solo la crescita di batteri, ma anche muffe e funghi responsabili di cattivi odori e possibili infezioni.
  • Camicie e magliette: in base all’intensità d’uso e all’esposizione a sudore, dovrebbero essere lavate ogni uno o due utilizzi.
  • Pantaloni, maglioni e giubbotti: la frequenza di lavaggio può essere inferiore, ma è importante non trascurare eventuali macchie, odori o contatti con superfici pubbliche.

Lavaggio, igiene e conservazione degli indumenti

Il semplice passaggio in lavatrice, a temperature moderate e con detergenti adeguati, è sufficiente a rimuovere non solo la maggior parte dei batteri, ma anche sostanze chimiche residue dei trattamenti industriali. Studi recenti suggeriscono che i lavaggi a bassa temperatura e con detersivi liquidi siano meno efficaci nell’eliminare germi resistenti, mentre l’aggiunta di candeggina o antisettici può risultare opportuna nei casi di biancheria sporca o dopo malattie infettive in famiglia.

Dal punto di vista igienico, non è necessario raggiungere la sterilità degli abiti nella vita quotidiana: il nostro corpo ospita milioni di batteri “buoni” che convivono con noi e in molti casi svolgono una funzione protettiva. Non lavare in modo eccessivo tessuti che non entrano in contatto diretto con la pelle può persino aiutare la pelle a mantenere il proprio equilibrio naturale. Tuttavia, prudenza e “buon senso igienico” restano essenziali, specialmente per determinati indumenti e in situazioni particolari (presenza di malattie infettive in casa, pelle lesa o condizioni di salute delicate).

Anche il modo in cui si conservano gli abiti influisce sulla proliferazione batterica: armadi areati, lavaggi regolari e un’adeguata esposizione al sole aiutano a mantenere i tessuti puliti e privi di odori sgradevoli. In presenza di macchie o sudore, non rimandare il lavaggio evita l’insorgere di muffe e di batteri fastidiosi.

L’igiene dei tessuti: tra allarmismi e consigli pratici

Al di là degli allarmismi, la presenza di batteri sui vestiti non è sempre una minaccia per la salute: spesso questi microrganismi sono simili a quelli già presenti sulla nostra pelle, e solo in condizioni particolari (umidità, immunosoppressione, ferite cutanee) diventano problematici. Tuttavia, consigliare di lavare sempre i vestiti nuovi prima di indossarli e igienizzare regolarmente quelli usati è una prassi che contribuisce a ridurre ogni rischio, soprattutto per bambini, anziani e persone con problemi di allergie o pelle molto delicata.

Molti dermatologi e igienisti raccomandano alcune semplici regole:

  • Lavare sempre i capi nuovi, specialmente intimo e abiti a contatto diretto con la pelle
  • Utilizzare detergenti delicati e risciacquare bene per rimuovere sostanze chimiche residue
  • Lavare a temperature adeguate e, ove possibile, esporre al sole per sfruttarne l’azione battericida naturale
  • Non condividere abiti personali, in particolare nella stagione fredda o in contesti ad alto rischio (palestre, piscine, ospedali)

Nel bilancio tra sicurezza, benessere e praticità, si può dire che il gesto di lavare gli abiti – nuovi o usati – sia uno dei più semplici ed efficaci per prendersi cura della propria salute e di quella degli altri.

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