Gli interessi sui conti correnti: ecco quanto guadagni davvero lasciando i soldi in banca

Quando si lascia del denaro su un conto corrente, è naturale chiedersi quale sia il rendimento reale ottenibile tramite gli interessi riconosciuti dalle banche. Negli ultimi anni, il clima dei tassi d’interesse nell’area euro e in Italia è stato profondamente influenzato dalle politiche della Banca Centrale Europea, che determinano anche i guadagni dei piccoli risparmiatori su queste somme. Tuttavia, il vero guadagno derivante dal lasciare soldi in banca è spesso molto inferiore alle attese e dipende da vari fattori che conviene conoscere nel dettaglio.

Tassi di interesse sui conti correnti e depositi nel 2025

Nel contesto economico attuale, il tasso di interesse sui conti correnti ordinari si mantiene storicamente basso, rendendo quasi simbolico il guadagno annuo ottenibile da chi lascia i propri risparmi non vincolati. Secondo i dati più recenti, a maggio 2025 il tasso medio complessivo su tutti i depositi – includendo conti correnti, conti a risparmio e certificati di deposito – si attesta intorno allo 0,69%. Questo valore rappresenta il tasso lordo, cioè prima che vengano applicate tasse e altre spese.

Anche considerando soluzioni leggermente più redditizie, come i depositi vincolati o i certificati di deposito, il rendimento medio in Italia a maggio 2025 raggiunge circa il 2,32% annuo lordo, seppur superiore rispetto alla semplice giacenza ma ancora lontano dalle soglie di inflazione e da forme di investimento più rischiose.

Il vero guadagno: il ruolo di tasse, bollo e costi

Il rendimento effettivo per il risparmiatore non corrisponde mai al tasso pubblicizzato, a causa di due voci principali che erodono il guadagno:

  • Tassazione sugli interessi: attualmente fissata al 26% sugli interessi lordi maturati; questa aliquota viene trattenuta direttamente dalla banca al momento della liquidazione degli interessi.
  • Imposta di bollo: pari allo 0,20% annuo della giacenza media per importi superiori a 5.000 euro, applicata proporzionalmente ai giorni di permanenza della somma sul conto, anche in caso di vincolo.

A questi si possono poi aggiungere spese di gestione, possibili commissioni di apertura su alcuni conti deposito e, per i vincolati, penali per l’eventuale svincolo anticipato.

Un esempio concreto: su un deposito che pubblicizza un tasso lordo del 4% annuo con capitalizzazione annuale, il rendimento netto finale – una volta dedotta la tassazione e l’imposta di bollo – scende a circa il 2,7% o meno, variando in relazione all’importo depositato e alla durata del vincolo.

Differenza tra conti correnti, conti deposito e vincolati

È importante distinguere tra i diversi strumenti bancari su cui si possono detenere somme di denaro:

  • Conti correnti ordinari: offrono una liquidità totale ma vengono remunerati pochissimo, spesso anche 0% o solo poche decine di euro all’anno su somme anche consistenti.
  • Conti deposito non vincolati: simili ai conti correnti per flessibilità, ma possono rendere leggermente di più, anche se meno dei prodotti vincolati.
  • Conti deposito vincolati/certificati di deposito: richiedono di lasciare fermi i fondi per un periodo predeterminato (da 3 mesi a diversi anni) e offrono i rendimenti più elevati disponibili tra i depositi bancari, fino al 2,3-3% lordo nel 2025, ma la liquidità è sacrificata.

Va valutata anche la frequenza di capitalizzazione degli interessi: quanto più è frequente (mensile, trimestrale…), tanto maggiore sarà l’effetto compounding, cioè la maturazione di “interessi sugli interessi”, seppur con impatto limitato sul risultato netto vista l’entità dei tassi odierni.

Inflazione e potere d’acquisto: il vero “rendiconto”

Oltre agli aspetti fiscali e ai costi, per comprendere se “convenga” lasciare grosse somme ferme su un conto occorre considerare il fattore inflazione. Anche in uno scenario con tassi di interesse in crescita, come quello post-2022, questi restano generalmente inferiori al tasso d’inflazione, erodendo progressivamente il potere d’acquisto dei risparmi, come spiegato in dettaglio nella voce Tasso di interesse.

Negli ultimi decenni il tasso di riferimento nell’Eurozona si è attestato in media sotto il 2%, salvo alcune eccezioni, e anche le prospettive future parlano di valori massimi intorno al 2-3% nel medio termine. Di conseguenza, la remunerazione reale dei conti correnti non potrà mai essere positiva quando l’inflazione annuale supera i tassi medi riconosciuti sui depositi.

Questo scenario suggerisce che l’utilizzo del conto corrente come “contenitore di liquidità” dovrebbe limitarsi all’esigenza di avere fondi prontamente disponibili per spese imminenti, emergenze o progetti a brevissimo termine. Per obiettivi di medio-lungo termine, strumenti come i conti deposito vincolati o investimenti finanziari specifici possono rivelarsi più efficaci per difendere il proprio capitale.

In conclusione, il guadagno derivante dai soldi lasciati in banca su un conto corrente è oggi estremamente ridotto: il rendimento effettivo, dopo tasse e bollo, è spesso quasi nullo sul conto ordinario e solo moderato per i depositi vincolati. Gli unici benefici certi rimangono la sicurezza, l’immediata disponibilità dei fondi e la protezione fino a 100.000 euro grazie al Fondo interbancario di tutela dei depositi.

Prima di lasciar riposare grandi somme in banca, è utile confrontare i diversi strumenti, calcolare il netto effettivo e ricordare che, dopo tutte le dovute trattenute e l’impatto dell’inflazione, il “vero” guadagno può essere molto distante dalle attese suggerite dai tassi lordi pubblicizzati.

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